RASSEGNA STAMPA: intervista sul magazine “NotizieNazionali”

Sul magazine “NotizieNazionali.it” è stata  pubblicata un’intervista da me rilasciata, riguardante la mia attività letteraria.

Per leggerla cliccare sul link sottostante:

UN UMILE SOGNATORE CON LA VOCAZIONE INNATA PER LA SCRITTURA 8 LUGLIO 2019

 

LO SCRITTORE GIOVANNI MARGARONE, UN “UMILE SOGNATORE” CON LA VOCAZIONE INNATA PER LA SCRITTURA

Articolo di giornalismo partecipativo pubblicato il 08/07/2019 in Arte e Cultura
Redazione

Reduce da numerosi riconoscimenti e altrettante premiazioni che ha ricevuto partecipando a concorsi letterari nazionali, lo scrittore di narrativa Giovanni Margarone nasce ad Alessandria da padre siciliano e madre ligure ed è friulano d’adozione dal 1986.

È sempre stato un lettore assiduo, cultore altresì di filosofia e musica. La scrittura e la musica, in particolare, sono stati, sin da quando era ragazzo, le sue vocazioni naturali; per questo a dodici anni, mentre intraprendeva lo studio del pianoforte, si cimentò a scrivere due romanzi, mai pubblicati, che gelosamente ha sempre conservato fra i suoi cimeli. Da allora, ha continuato a scrivere pensieri, brevi racconti che però ha sempre poi riposto nel cassetto, mentre tanti sono andati purtroppo perduti. Oggi conta all’attivo la pubblicazione di quattro romanzi: “Note fragili” (2018, seconda edizione), “Le ombre delle verità svelate (2018, seconda edizione), “E ascoltai solo me stesso” (2019, seconda edizione) e “Quella notte senza luna” (2018).

Giovanni, come nasce la passione per la scrittura fin da giovanissimo?

Io penso che la scrittura, come tutte le arti, sia una cosa innata. La passione la si ha per la numismatica, per esempio, ma per la scrittura, come per la musica, la pittura e tutto ciò che è arte, ciò che scatena questo “bisogno” di “creare”, nel mio caso attraverso le parole, secondo me è insito nel DNA, quindi già progettato a priori. Lo scrittore percepisce il mondo e lo interpreta, e questo fatto non è appreso, è innato. Può essere che ciò resti dormiente, magari a causa di un inadeguato stimolo come lo può dare la lettura e lo studio in generale, ma prima o poi si desta. Nel mio caso, sin da piccolo ero curioso di ciò che mi circondava e leggendo i primi libri per ragazzi (il primo in assoluto fu “I ragazzi degli scogli” di Olga Visentini, seguito da “Dalla terra a luna” di Jules Verne) incominciai a pensare che “sarebbe stato bello scrivere qualcosa anch’io”, già allora non volevo essere un lettore, un utente, bensì un “produttore di storie” (termine un po’ gretto, forse, ma credo efficace). Così, come già lei sa, ho cominciato a scrivere.

Quali aggettivi la descrivono come uomo e come scrittore?

Un umile sognatore. Lo stesso aggettivo accomuna entrambe le mie vesti. Sognare vuol dire calarsi in una dimensione che rifugge da ogni canone e, nel contempo, può far vedere la vita da una prospettiva diversa. Sognare aumenta la nostra positività e le persone positive vivono la vita sempre guardando alla luce. Perché angustiarsi nel periodo di questo passaggio in Terra? La Filosofia aiuta molto a far capire questo. Esiste sempre l’altra faccia della medaglia, esiste sempre il bicchiere mezzo pieno. Alfa e omega, bianco e nero. È importante guardare il mezzo pieno, il bianco, l’alfa. L’ottimismo nutre la speranza e questa è il vero sale della nostra esistenza.

Leggere e scrivere sono terapeutici?

Certamente! Quando si legge e si scrive, collegandomi alla domanda precedente, ci si cala in un sogno, entrando a gamba tesa in un’altra dimensione. La mente vaga nutrita dalle parole che lo scrittore ti offre – nel caso del lettore – e dalle emozioni che diventano parole – nel caso dello scrittore. La mente si rafforza perché le sinapsi celebrali sono attraversate da maggiore corrente elettrica e questo è un elisir di lunga vita. Se il cervello funziona non si atrofizza, la lettura e la scrittura lo mantengono certamente efficiente. Mi sovviene il nostro amato Camilleri, che ora giace, ahimè, in un letto d’ospedale e al quale rivolgo il mio pensiero, come fosse un padre. Ebbene: lui, nonostante la veneranda età, la sopravvenuta cecità, la mobilità ormai difficile, non ha perso mai la lucidità mentale, anzi, le sue facoltà intellettuali sono migliorate sempre più con il tempo, e questo è dovuto alla capacità del Maestro di tenere sempre allenato il proprio cervello. Questa è lezione di vita per me.

Scrive per sé o per essere letto?

Per entrambe le cose. Scrivere mi allieta e, perché no? Mi diverte. Tuttavia se non scrivessi per gli altri, sarebbe un’attività monca, fine a se stessa. Scrivere per essere letti è una grande responsabilità, indubbiamente, ma non potrebbe essere altrimenti. Io interpreto la scrittura come il mezzo più efficace per trasmettere sentimenti, emozioni, per indurre alla meditazione. Questa interpretazione trascendentale della scrittura a me è assai cara, la spiritualità fa parte di noi stessi e lo spirito va nutrito. Io spero sempre che il lettore tragga nutrimento per il suo spirito dai miei scritti, il mio genere letterario penso che lo consenta. Essere letti significa anche esporsi alla critica. Ineludibilmente ogni artista che mette in pubblico le proprie opere si espone ed è giusto così. La critica fa crescere e maturare l’artista. Note fragili e Le ombre delle verità svelate, attraverso i concorsi letterari, hanno avuto plausi come dimostrato dai premi conferiti. Di questo sono soddisfatto, perché ciò significa che in quello che scrivo qualcosa di buono c’è, la critica, finora, è stata positiva.

Ama smisuratamente la cultura, ci sono autori a cui si ispira?

Mi ha sempre attratto la psicologia di Proust, quello stile unico dei giganti russi quali Tolstoj, Dostoevskij e Gogol’; poi Balzac e Goethe.

Degli italiani Pavese, Cassola, Calvino, Svevo, Pirandello solo per citarne alcuni.

Sono autori immortali, silenziosi maestri degli scrittori contemporanei, sebbene citarli si faccia un torto a quelli non citati. Io ritengo che per scrivere buona narrativa sia d’obbligo conoscere questi grandi classici, perché il loro stile, la loro cifra letteraria non possono altro che fare scuola.

Scrive di getto o la fase di stesura e limatura richiedono tempo e impegno?

L’impegno è inevitabile, secondo me, per stendere un buon scritto. Dopo che l’ispirazione mi ha dato l’idea del romanzo, mi faccio uno schema modificabile in corso d’opera. Le idee, finora, le ho sempre avute chiare su cosa scrivere, per questo direi che scrivo di getto. Ovviamente, essendo forse ossessivo riguardo alla morfologia linguistica, eseguo un’attenta opera di revisione e ciò richiede necessariamente molto tempo. È essenziale, per me, conferire allo scritto quell’indispensabile taglio letterario. Il più grave errore che può fare chi scrive è non distaccarsi dalla lingua parlata. Lo stile linguistico letterario deve sempre essere di più alto rango rispetto alla lingua parlata, con scrupolosa attenzione alle corrette forme verbali e al lessico.

C’è un anello di congiunzione tra le opere che ha scritto fin qui?

No, ogni romanzo è a sé stante. La narrativa che scrivo non si presta a sequel come nella narrativa di genere e, anche se un romanzo si prestasse, non lo farei. Ogni romanzo finisce così, spesso anche in modo pirandelliano. Io do molto spazio alla fantasia del lettore e non do mai nulla per scontato.

I romanzi di formazione le appartengono molto, la sua evoluzione come scrittore qual è stata?

Ho sempre pensato di scrivere questo tipo di narrativa, almeno così è stato fino adesso. Mi piace molto il realismo, i miei romanzi sono incentrati sui personaggi, tant’è vero che ogni romanzo potrebbe essere ambientato ovunque. Io non racconto del luogo, ma racconto delle persone. Certo, qualcuno può dirmi che nelle “Ombre” c’è in parte il terremoto del Friuli, come cambiare? Io rispondo che lì descrivo il dramma di Costanza, la sua sofferenza, il suo dolore che sarebbero gli stessi patiti durante l’alluvione di Genova. Anche se cambiassi indirizzo, comunque non scriverei thriller, fantasy e altra narrativa di genere, non me ne sento attratto. L’unica narrativa di genere che mi piace è quella di Camilleri, ma lui è un discorso a parte.

Quanto di autobiografico si ritrova nei suoi scritti?

È inevitabile, in questa narrativa soprattutto, che ci siano, seppur celati, spunti autobiografici.

L’esperienza di vita ineludibilmente conduce a trarre parti di sé nelle narrazioni. Tuttavia l’autobiografico nei miei romanzi, seppur celato, comunque non è rilevante, spesso narro di vicende da me mai vissute perché entra in gioco la mia fantasia, che secondo me è un fattore essenziale.

Quali difficoltà editoriali si trova a combattere?

Questa è una nota dolente, penso comune a molti scrittori come me.

Nel marasma editoriale contemporaneo non è certo facile emergere come si vorrebbe, tante sono le dinamiche in gioco. Ma io non demordo e vado avanti, confidando nella fedeltà dei miei lettori e nelle mie energie profuse nell’attività promozionale, grazie all’indispensabile supporto del mio ufficio stampa. I miei libri hanno ottenuto molte recensioni e articoli su riviste e sono invitato spesso in radio e televisione. I miei libri sono presenti inoltre in varie biblioteche; controllando on line, noto che sono sempre dati in prestito, questo è un buon segno.

Progetti per il futuro?

Come ho detto più volte, io sono un sognatore e odio programmi e consuntivi perché non mi appartengono. Tuttavia non posso negare di aver progetti.

Dopo la recente uscita della seconda edizione di “E ascoltai solo me stesso”, ci sarà la seconda edizione di “Quella notte senza luna”.

Nel frattempo ho ormai terminato il nuovo romanzo inedito. Tutto dal 2020 in poi…

 

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