RASSEGNA STAMPA: intervista su Eventi Culturali

Il magazine Eventi Culturali ha pubblicato questa mia intervista, che potete leggere cliccando questo link: INTERVISTA EVENTI CULTURALI O LEGGERE QUI DI SEGUITO:

IN UN MONDO COMPLESSO COME IL NOSTRO SOLO LE ARMI DELLA CULTURA POSSONO COMBATTERE I VERI “LIMITI” DELL’UOMO E LA SUA MEDIOCRITÀ.

Nato ad Alessandria nel 1965, lo scrittore Giovanni Margarone ha vissuto in Liguria fino all’età di ventuno anni per poi trasferirsi in Friuli per motivi di lavoro. In lui ferve l’amore per la musica, la filosofia e, naturalmente, la scrittura.

Oggi conta all’attivo la pubblicazione di quattro romanzi: “Note fragili” (2018, seconda edizione), “Le ombre delle verità svelate (2018, seconda edizione), “E ascoltai solo me stesso” (2019, seconda edizione) e “Quella notte senza luna” (2018).

Giovanni, di solito sono i giornalisti, i blogger, i critici a presentarti, ma questa volta cambio prospettiva e chiedo a te: chi è Giovanni Margarone come persona e come scrittore?

È una domanda interessante, perché di solito non si è avvezzi a guardarsi allo specchio, un po’ per paura, un po’ perché è l’incalzare della vita di tutti i giorni che non ci consente di fare una pausa per riflettere su chi siamo. Cosa che invece fanno spesso i personaggi dei miei romanzi, con i loro ragionamenti introspettivi, forse dovrei imparare da loro. Tuttavia, guardandomi allo specchio dopo aver necessariamente inforcato gli occhiali, che sono ormai fedeli compagni delle mie giornate, vedo un uomo appassionato, idealista, che alle volte vorrebbe fuggire dalla realtà e riconcorrere i sogni. Tanti mi dicono che sono forse troppo umile, che alle volte dovrei sforzarmi a tirar fuori le unghie per far valere di più le mie ragioni; ma non mi dispiace essere umile. In filosofia, Nietzsche classificò due tipi di uomo: l’uomo pensatore e l’uomo muscolare. Il primo è riflessivo, portato alla spiritualità, con la ragione sempre a portata di mano, ma non avvezzo alle faccende pratiche della vita, all’affermazione di se stesso, alla gloria. Il secondo invece è impulsivo, d’azione, pragmatico, che usa più la forza che le idee. Per la teoria dei contrappesi, tuttavia devono esistere sia l’uno, sia l’altro, perché il mondo delle idee non è sufficiente a superare i grandi problemi, serve anche l’energia, appunto, di persone muscolari.

Io credo di appartenere al primo tipo, non per niente il mio segno zodiacale è la bilancia (sebbene non creda molto nell’astrologia). Come persona sono sempre stato pacato, diplomatico, accondiscendente e non amo offendere le persone anche quando hanno torto. Lascio l’azione ad altri più capaci di me, sebbene sia consapevole che determinate persone si siano affermate meglio di me grazie al loro arrivismo e alla loro energia; ma mi sono sempre chiesto se costoro fossero veramente felici. Io ho sempre amato la vita, la considero un dono inestimabile da preservare gelosamente. Un bene che l’arma del denaro non può proteggere. La prepotenza e l’arroganza di chi è ricco esistono nella vita, ma non possono sconfiggere la morte, quindi a che servono? Non servono a nulla, perché l’uomo è a scadenza, va via dal mondo come ci è arrivato e l’universo è governato da una forza infinitamente più grande di lui. Quindi, l’unica strada percorribile per vivere in pace con se stessi e con gli altri, è credere nell’amore, nutrirsi di esso vivendolo in tutte le sue sfaccettature, perché solo l’amore è capace di sconfiggere la morte: se sapremo amare in vita, saremo amati anche dopo la nostra morte. A riguardo voglio citare il compianto Ezio Bosso – un gigante sia come uomo, sia come artista – quando parlava dell’amore, perché egli amava la vita, amava il mondo e la sua morte mi ha trafitto il cuore.

Come Ezio, anch’io credo nei valori della vita, quelli più autentici, perché sono gli unici che possono alimentare il faro della nostra esistenza, che non può essere vissuta senza spiritualità e senza pensare a quel mondo astratto tanto caro ai filosofi, perché vivere solo il mondo tangibile non è sufficiente per aver consapevolezza a pieno del nostro essere.

Come scrittore mi ritengo uno fra molti, con i miei pregi, forse pochi, e miei difetti. Sicuramente sono uno scrittore appassionato, senza passione non si costruisce nulla e, come ho già detto in altre circostanze, ritengo che scrivere sia un atto di profonda responsabilità, pertanto è un lavoro che va fatto bene. Indipendente dal genere, secondo me un libro deve lasciare qualcosa a chi legge e il lettore è una persona che va trattata con rispetto, perché da te che scrivi lui si aspetta molto. Anche qui entra in gioco l’umiltà, perché lo scrittore deve sapere accettare la critica, a patto che sia educata e costruttiva. La critica, sia essa del lettore, del giornalista, del blogger può essere opportunità di crescita e concorre alla maturazione artistica dello scrittore. Certo, un romanzo può anche non piacere, magari un lettore è più incline a leggere un genere piuttosto che un altro, tuttavia se il romanzo è ben scritto, ha una bella trama ed è messaggero di significati non può essere considerato un’opera non valida e, al di là del gusto, può essere comunque apprezzato. Io cerco di scrivere libri da apprezzare, è un tentativo e accetto le critiche. Come autore, ho scritto finora romanzi di narrativa non di genere e forse ad alcuni della platea dei lettori può anche non piacere; ma questo tipo di narrativa è quella a me più confacente e per nulla mi sento portato a scrivere fantasy, thriller, noir, romance: sono generi che non mi piacciono, tuttavia rispetto chi scrive romanzi di questo tipo, ogni autore ha la sua vocazione, come la ha il poeta incline a scrivere in versi, anch’egli portato a comporre poesie di un tipo piuttosto che un altro. Per fortuna la letteratura è poliedrica, se ci fosse un ipotetico genere unico sia per la prosa, sia per la poesia, quest’arte meravigliosa sarebbe sono un’informe massa grigia, come quella fatta da un pittore che mischia tutti i colori nella tavolozza. Ma tutte le arti, siano esse letterarie, figurative o musicali riflettono la nostra umanità, che vive in un mondo pieno di colori e forme diverse. Noi stessi siamo diversi gli uni dagli altri, perché è legge di natura e la diversità, questo concetto che spesso viene mal interpretato e talvolta considerato come un male, è la nostra vera ricchezza. Tornando a Nietzsche, egli disse “Io sono diverso da te, perché tu sei diverso da me”, evidenziando quindi l’accettazione della “diversità”, perché essa concorre all’armonia del nostro mondo, che è bello, appunto, perché è vario.

Da piccolo già pensavi di fare lo scrittore?

Sì, perché prendendo in mano un libro mi affascinava il fatto che la mano di un autore scrivesse così tante parole creando delle storie, mi attirava il fatto di riuscire a scrivere anch’io qualcosa che restasse lì, a portata di mano, che potesse essere riletto in qualunque momento. Mi divertiva il fatto di inventare storie, creando personaggi, descrivendone le azioni. Ero un ragazzino quando trascorrevo domeniche intere a scrivere sui quaderni che usavano a quei tempi, la fantasia non mi mancava, come mi succede tuttora. Solo una cosa non ho mai voluto scrivere: la mia autobiografia. Non la scriverò mai. I romanzi autobiografici non mi attirano, semmai romanzi che abbiano velati spunti tratti da esperienze di vita interessanti. Scrivo perché mi piace distaccarmi, nel mio studio, dalla realtà, per questo usufruisco della mia fantasia, la stessa che mi fa rincorrere i sogni.

Che ingredienti servono per costruire una storia?

Come dicevo, tenuto conto di ciò che mi piace scrivere, la fantasia è un ingrediente basilare. Immaginare persone, vicende e anche luoghi non è possibile senza fantasia. Tuttavia le storie che scrivo appartengono al mondo reale, perché questo è il genere dei miei romanzi. Poiché sono molto attratto dal Realismo ottocentesco e dal Verismo, dalle letture degli autori di quelle correnti letterarie ho tratto sicuramente ispirazione. Un altro ingrediente, che certe volte tanti sconfessano, è il riferimento a esperienze di vita che possono essere spunti per la narrazione, come dicevo prima. Chiaramente se si scrive in età matura, come la mia, più voluminosa è l’esperienza di vita che può dare maggiori spunti per le storie che si raccontano. Non mi soffermo sul fatto basilare che uno scrittore dev’essere anche un lettore. Leggere, come faccio io, letteratura di grandi scrittori che non cito perché la lista è lunga e farei torto a qualcuno, sicuramente favorisce l’autore nella maturazione del suo stile e nell’arricchimento del lessico. A fattor comune, voglio ribadire il concetto che scrittori non ci si improvvisa, anche qui è necessaria una preparazione linguistica di base e poi ci vuole il talento. Non tutti sono naturalmente portati a scrivere; come dicevo prima, non siamo tutti uguali. Posso citare l’esempio della scuola: certi ragazzi scrivono correttamente e con facilità (hanno facile penna, come si dice), mentre altri no. Scrivere è un dono ed è giusto, secondo me, che chi abbia questo dono provi a cimentarsi a scrivere; mentre gli altri possono tranquillamente fare cose a loro più congeniali. Ognuno ha il suo talento, nessuno ne è esente, basta saperlo scovare. E di gente talentuosa la nostra società attuale ne ha estremo bisogno, in un mondo complesso come il nostro in cui solo con le armi della cultura si possono combattere i veri “limiti” dell’uomo quali l’arroganza, la presunzione, i pregiudizi, la cattiveria, l’egoismo, la superbia, l’indifferenza, l’ottusità; tutte quelle connotazioni che rendono l’uomo mediocre.

Quando inizi una storia hai già in mente cosa scrivere o cambi le carte in tavola?

Non è possibile, a mio avviso, mettersi davanti a un foglio bianco o al computer senza idee e dirsi “adesso scrivo”, ma cosa “scrivo”? È fondamentale avere l’idea che scaturisce dall’ispirazione. Quindi sì, quando inizio ho già un’idea generale del romanzo, la sua ossatura. È chiaro che durante la stesura possa cambiare qualcosa dall’originario che ho pensato, perché, appunto, le idee continuano a venire o possono modificarsi in parte. Ma di massima, quando ho deciso di mettere la parola fine, la sostanza della narrazione è quella iniziale.

Ci racconti qualcosa dei tuoi libri? Li ami tutto nella stessa misura?

Finora ho pubblicato quattro romanzi, quelli detti nella premessa. Il quarto dovrebbe uscire in seconda edizione nel 2021. Ma ho già pronti altri tre romanzi inediti. In tutto ho scritto sette romanzi.

Note fragili è la storia di un ragazzo con la vocazione naturale per la musica, per questo riesce a frequentare il conservatorio e a diplomarsi brillantemente in pianoforte. Tuttavia il ragazzo è molto fragile e, dopo alterne vicende, capisce che non basta l’ambizione per ottenere i risultati voluti, ma è necessaria anche una grande forza che gli consenta di vivere quella musica da lui amata, senza trascurare ciò che è essenza importante per la vita stessa. È un romanzo che è piaciuto molto.

Le ombre delle verità svelate è un romanzo molto strutturato, nel quale si intrecciano tre vicende di vita, che hanno quale comune denominatore la verità nelle sue varie forme. Ma non è solo questo il significato del romanzo. In esso sono onnipresenti la forza di voler andare sempre avanti nella vita, la palingenesi esistenziale, l’amore nelle sue varie forme, il dolore e la sofferenza, ma anche la gioia. È un romanzo, come dicevo, articolato, tutto da leggere, dal finale sorprendente.

E ascoltai solo me stesso è la storia di un adolescente, che nonostante i suoi problemi legati all’età combatte per la riabilitazione sociale di un vecchio agricoltore, profugo della guerra civile spagnola, oggetto di pregiudizio da parte dalla comunità in cui vive. È un romanzo con forte pathos, nel quale è posto in risalto quanto sia grave l’emarginazione sociale legata al preconcetto, ma anche quanto sia potente la forza della generosità e dell’altruismo, correlata alla capacità di non associarsi a una mentalità ottusa quanto deleteria. Anche questo romanzo è stato molto apprezzato dalla critica.

Devo dire che non ho preferenze particolari riguardo ai miei romanzi. Sono frutto di idee diverse e, per questo, si distinguono l’uno dall’altro. Forse hanno un solo comune denominatore: che potrebbero essere ambientati ovunque. I miei romanzi si incentrano sempre sul profilo psicologico-introspettivo dei personaggi e sull’ispirazione al mondo reale. Sono i personaggi il centro dell’attenzione, i fatti a sfondo sono affreschi. Descrivo più le loro emozioni che l’intensità delle forze alle quali sono sottoposti.

Sono romanzi che finora mi hanno dato soddisfazione: in tutto hanno finora ottenuto 18 riconoscimenti nei concorsi letterari, le giurie sono state benevole e continuo a ringraziarle. Ciò mi dà la forza per andare avanti, consapevole delle difficoltà che si incontrano nel mondo editoriale e dell’impegno che devo profondere per promuovermi e dedicarmi con costanza a tutte le attività connesse. Ma fa parte del gioco e se qualcuno si ricorda di me, che sia anche solo uno, io lo ringrazio. Non ho velleità di trascinare folle, coltivo questo mio amore per le lettere con pacatezza, comunicando attraverso i miei libri; come dicevo prima, non sono un uomo muscolare.

Che sensazione si prova quando si finisce di scrivere un libro? Più di compimento o di svuotamento?

Compimento. Nel mio sito: https://atomic-temporary-147270484.wpcomstaging.com, che invito a visitare se non altro per curiosare sulla mia attività letteraria, ho scritto un aforisma. “Quando finisco un libro sono stanco, ma tutto è vinto dalla magia delle parole che andranno a trovare voi, lettori miei”.

Scrivere è fatica, per questo stanca. Ma è una stanchezza gradevole, perché so che le parole che ho scritto non resteranno nel mio cassetto, mute, ma andranno dai lettori, perché se scrivessi solo per me, quest’attività sarebbe monca. Invece ciò che scrivo è volto agli altri, solo così un artista è completo. La sua opera deve essere divulgata, se così non fosse la cultura in generale sarebbe chiusa in qualche caverna, sigillata, e nessuno potrebbe godere di essa. Quindi scrivo e mi metto a nudo di fronte ai lettori, alle giurie dei concorsi, ai critici, esposto alle critiche; ma così dev’essere, con estrema umiltà.

Infine, sei molto attivo sui social e spesso anche “dall’altra parte della barricata” in veste di editorialista e collaboratore di un blogger letterario. Chi vorresti recensire o intervistare?

Essere dall’altra parte, con tutta la modestia possibile, è un compito di responsabilità. Tuttavia mi piace scrivere editoriali, anche qui ci vogliono le idee, e mi soddisfa molto. Recensire è un compito impegnativo, perché non basta leggere un libro per commentarlo compiutamente, bisogna studiarlo senza farsi condizionare al fine di stendere un commento quanto più obiettivo possibile, sempre con il dovuto garbo ovviamente.

Più che recensire, preferirei intervistare, forse c’è un fondo di giornalista in me e, se tornassi indietro, sarebbe una professione che non mi dispiacerebbe.

Mi piacerebbe intervistare Tahar Ben Jelloun, che ho avuto modo di ascoltare alla presentazione del suo ultimo libro “Insonnia”, Ed. La nave di Teseo, 2019, a Pordenonelegge 2019. È uno scrittore assai interessante, mi piacciono molto i suoi libri per le tematiche trattate e per lo stile letterario. Le sue origini marocchine traspaiono dai suoi libri, pregni di mistero e spiritualità, come misterioso e affascinante è il deserto da lui ampiamente descritto.

Un altro autore che vorrei intervistare è Mauro Corona che, dopotutto, non abita tanto lontano da me. È un adorabile mattacchione, ho letto tutti i suoi libri: il suo connubio con la montagna è pura poesia, il suo modo di vedere il mondo mi incuriosisce e mi affascina. Mi piacerebbe intervistarlo andandolo a trovare a Erto a cavallo della mia moto, sarebbe di certo un’esperienza unica e indimenticabile. La prima cosa che mi direbbe sarebbe sicuramente questa: “La moto inquina, sarebbe stato meglio che tu fossi venuto a piedi”.

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